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Vulnerabilità: da coltivare o eliminare?

di Dario Forti

Come si vive oggi nelle organizzazioni?

Come vivono le organizzazioni oggi i ruoli con le loro vulnerabilità?

Siamo passati dalla resilienza alla vulnerabilità toccando le corde dell’anima della fragilità e dell’incertezza.

Domande che non sono peregrine, ci attraversano e riguardano soprattutto i Manager HR e i consulenti.

Domande che ripropongono, con un pendolo linguistico, il dilemma se si tratta di perseguire, o almeno di riconoscere e accettare, la vulnerabilità (e la fragilità che ne è una componente) delle persone; oppure, al contrario, di far leva sulla caratteristica opposta, che solo un paio d’anni fa era a sua volta al centro del dibattito: la resilienza, vista come la soluzione di fronte allo stato di incertezza e insicurezza che attraversava l’esperienza organizzativa e quella più estesa nel sociale.


È curioso, del resto, il modo in cui nel discorso manageriale le parole d’ordine appaiono e scompaiono.


Ma questo è tema per un altro post.

Restiamo un attimo ancora sulla resilienza che – lo ricordo – veniva sostenuta con una metafora fortissima:

mentre l’acciaio è resiliente perché flessibile, la ghisa quello strano minerale di cui erano fatte le stufe delle nonne anche se durissima e pesante, è invece fragilissima…

Ma forse pendoli e dilemmi non dicono cose sbagliate.


Le persone – gli esseri umani – sono senza ombra di dubbio fragili e vulnerabili.


Ed è a partire dalla fragilità e dalla vulnerabilità che possiamo attivare la resilienza e la flessibilità le quali sbocciano in capacità progettuali, creative, innovative e generative … tutte assolutamente necessarie in una organizzazione!

Soffocarle? Mai! Ascoltarle? Sempre! Come?

Per attivare questo processo è necessario – e qui devo citare il mio maestro Luigi Pagliarani – che avvenga il riconoscimento della mancanza; del fatto cioè che noi umani nasciamo mancanti. Mancanti e Vulnerabili.


Tema complesso da comprendere in un’epoca in cui è tutto troppo facile da ottenere e lo stato di mancanza è un minus!

Eppure è proprio la mancanza che ci spinge verso la “cura”, prima attraverso uno stato di dipendenza e poi verso l’autorealizzazione.


Si pensi alla assoluta dipendenza dall’ambiente e dal care giver del cucciolo dell’uomo, ma ciononostante – o, meglio, in ragione di ciò – cresciamo (anche se non così rapidamente come gli altri cuccioli animali) e diventiamo capaci; ma solo in quanto trasformiamo la nostra condizione mancante – attraverso la cura, la relazione e successivamente la collaborazione e la dipendenza funzionale da insegnanti e capi – in possibilità e progettualità.


È fin banale riconoscere che sia uno dei “meriti” del Covid questa riscoperta dell’importanza della cura e di quella che nelle organizzazioni ormai viene riconosciuta come una funzione indispensabile: il people & organisation caring.


Ha tolto i veli alla nostra vulnerabilità che, in uno stato di emergenza, abbiamo saputo gestire più o meno bene trasformandola in resilienza e nuove progettualità che sono sfociate in nuove opportunità di business.

Tutto questo è frutto della grande capacità che l’essere umano: intelletto, capacità tecniche e emozioni. Tratti che l’intelligenza artificiale riuscirà solo a sfiorare!

Anche qui nulla di nuovo. Il grande Richard Norman, il teorico del service management, affermò nei formidabili anni ’80 che è difficile pensare che le persone si occupino adeguatamente dei clienti se non sono a loro volta oggetto di cura da parte dell’azienda.


Il people caring ci richiama alla necessità di sviluppare la capacità delle persone di aver cura del proprio lavoro.

Il lavoro, JOB come lo chiamano in molti oggi, il ruolo che ognuno riveste e il valore che ogni persona in modo differente porta nell’organizzazione.

E perché si realizzi lo sviluppo di questa capacità, l’azienda deve farsene carico a partire dalla formazione, ma non solo; occorrono:

· ascolto,

· attenzione,

· riconoscimento;

e la percezione dei segnali di fragilità e vulnerabilità che tendono a manifestarsi soprattutto nei momenti incerti e difficili come quelli che sempre più frequentemente attraversiamo.


Cosa serve allora? Mentre c’è stato un tempo – quello in cui le aziende disponevano di servizi di assistenza sociale – in cui ci si rendeva conto e si intercettavano i casi di sofferenza acuta delle persone più vulnerabili, oggi occorre invece una consapevolezza di una comune potenziale vulnerabilità e fragilità. È in quest’ambito che le aziende hanno ancora molto da fare, non solo per rispondere alle richieste esplicite di cura, ma soprattutto per aiutare le persone a lavorare sulla propria vulnerabilità, da cui ricavare nuovi stimoli di crescita e nuove mete da raggiungere.


Parlare di organisation caring vuol dire invece affrontare il tema dello sviluppo organizzativo.

Lo faremo con il prossimo post, che prenderà spunto dalla lezione di un altro grande maestro, quell’Edgar H. Schein che abbiamo avuto modo di ricordare recentemente (vedi il seguente link: https://attendee.gotowebinar.com/recording/4388500981704003927).

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