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INTERVISTA PINO VARCHETTA

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Continua la riflessione, a partire dai temi del convegno di Modus del 12 aprile scorso. L’ospite con cui abbiamo dialogato oggi è Pino Varchetta, che ci ha raccontato le potenzialità offerte dalla prospettiva dell'OD clinico e il suo potenziale generativo sui livelli più profondi delle organizzazioni, chiamate a navigare nel mare della complessità.

Il focus, in questa puntata, è stato la dimensione del tempo. Sempre più spesso avversario da battere, nell’epoca dell’Agile, il tempo può diventare luogo di visione, alleato prezioso per le aziende che, abbandonando soluzioni spot, ambiscono a una crescita. Come ci ha spiegato Varchetta, l’OD clinico per una sua inclinazione a ricercare e affrontare i nodi reali del tessuto organizzativo, a partire dalle questioni concrete, impatta qualitativamente sull’efficienza e l’efficacia dei risultati di business, oltre a promuovere la creazione di una cornice di senso per il lavoro delle donne e degli uomini che vi abitano. 

Un grazie a Pino Varchetta per averci fornito un punto prospettico alto, lungimirante, coraggioso. A noi raccogliere la sfida. 

 

Quali sono, secondo te, le sfide più importanti con cui le organizzazioni oggi sono chiamate a confrontarsi? Le sfide più manifeste e, se ce ne sono, quelle più sotterranee, meno evidenti.
 

Vedi, credo che nell'organizzazione tutte le funzioni e tutti i ruoli devono tener presente la contemporaneità di due prospettive temporali. Una prospettiva temporale è sul breve, proprio del sincronico, ad esempio quando un operaio lavora a una catena di montaggio, ammesso che ci siano ancora, e ha quasi una percezione corporea visiva, a livello sensoriale, del proprio fare e del suo risultato. O come un venditore che gira col suo van. Arriva, scarica il prodotto, lo consegna e incassa. Ma queste funzioni fanno parte di un’altra attività che si costruisce nello stesso tempo e che può essere letta sotto la categoria della speranza di San Paolo, quando scrive ai Romani. Nel senso di pensare, o di avere fede, che quel micro-gesto che hai fatto in quella giornata e che magari ripeti la giornata dopo e che a te sembra senza significato, devi avere la fede, la speranza, che, a un certo punto, lo troverai il significato di quel gesto. Troverai il finale. Troverai il vero, il risultato. Perché l'hai costruito nel tempo. Quindi ogni singolo atto, è, in realtà, un pezzo di una tessitura più ampia che tu adesso non vedi, ma che devi vedere, invece, visionariamente, con un atto fondato di speranza. È un po' anche la disputa nei confronti del concetto di verità. Uno dice: “La verità? Il vero non c’è!”. Ma non è vero che il vero non c'è. Solo che il vero, in una relazione personale, non lo trovi subito. Lo costruisci, insomma.
 

Le organizzazioni, a tuo avviso, oggi faticano a tenere insieme l’istante e la prospettiva?

Non voglio essere il solito super-egoico vecchio, però noi oggi siamo un po' tutti presi dai tempi stretti. Per esempio, anche a livello del linguaggio non si dice più facciamo un “piano”, si dice facciamo un “progetto”. La vostra generazione dice “progetto”. I ragazzi a scuola dicono “progetto”. È un po' questa tendenza di pensare che noi possiamo darci fretta. Poi non voglio giudicare questo mondo. Anzi! Credo che questo mondo sia migliore di quello che io avevo da ragazzo. A mio parere, però, la fretta… anche nello sport vedo una richiesta di performance immediata. Un mio amico dice che non ci sono più i “cinquantini”, perché si scende dalla bicicletta e si sale su scooteroni. È come se la gente non avesse più il tempo di apprendere come andare in moto.

Questa capacità di rinunciare all’immediato, secondo te, riguarda più le esigenze del business, la paura di scommettere sul futuro. Come la vedi?

 

Sai, ci vorrebbero però esperienze di pensatori più attrezzati di me. Insomma, io trovo che la finanza ha un po' inquinato in maniera diversa il mondo.

 

"Possiamo far rientrare qui anche la tentazione della consulenza, che qualche volta emerge, a focalizzarsi sul “portare a casa” un progetto, piuttosto che a vedere l'azienda crescere?"

 

C'è, su questo aspetto, una lunga polemica sull'analisi della domanda, dei livelli iniziali. Già, per esempio, se tu obblighi in qualche maniera il committente a stare con te a lungo, abbastanza a lungo, sull'analisi della commande che lui ti ha fatto, allunghi i tempi delle attività di lavoro. Se invece parti subito... Però sai, io personalmente incontro ancora molti committenti che hanno visione. Ci sono ancora. Trovo che su questo ci sia però un affanno. Ma… adesso sono molto commosso, perché stanno chiudendo i buchi della metropolitana. Sono nove anni. Noi ci siamo lamentati come cittadini che hanno avuto ritardi. Ma quei poveretti hanno trovato di tutto lì sotto, le falde acquifere ad esempio. È un miracolo di tempi lunghi.

 

In questo scenario veloce, che cerca tempi stretti, che valore aggiunto può offrire lo Sviluppo Organizzativo Clinico?

 

Ma… qui ho delle idee più chiare, per certi aspetti, perché l’OD clinico, se viene gestito secondo le sue potenzialità, dà un primo grande vantaggio al committente: di non buttar via i soldi. Di portare utilità all'organizzazione, perché lavora per una ricerca quasi ossessiva del reale problema che è sotteso alla percezione di disagio e di malessere. E reale problema significa quale funzione, quale reparto, quali numeri non vanno. Quindi cose molto concrete, legate all'efficienza e all'efficacia. E poi pone un tema che è un'altra realtà innegabile: che l'organizzazione è fatta di donne e di uomini. Che le donne e gli uomini hanno corpo, emozioni e sentimenti e che non si può far finta che non esistano. O meglio, si può far finta, ma poi hai degli svantaggi, al di là della felicità o infelicità delle persone. Hai degli svantaggi a livello dei bilanci. L'azienda va in rosso, insomma. Sporchi i risultati di business. Questa è l'utilità vera dello sviluppo organizzativo clinico. Che poi l’OD clinico sia anche una palestra di sviluppo delle persone, di apertura, di accettazione delle diversità, eccetera eccetera, però Io insisto molto sul business. Io vengo dal business e il business è sacro, perché dà da lavorare alla gente.

 

Rimanendo sulla scia dei pensieri precedenti, volevo chiederti quindi come l’OD clinico abita e interpreta la dimensione del tempo e il ruolo del tempo nelle azioni di sviluppo organizzativo.

 

Famosa è la frase di Sant’Agostino che dice “so bene cos’è il tempo, ma quando mi chiedono di spiegarlo, non so spiegarlo”. Credo che avesse ragione. Io credo che il problema del tempo andrebbe un po' rovesciato. Partiamo, come dicono i fisici quantistici, dal fatto che il tempo non esiste e che quello che è importante nell'organizzazione è il significato che tu dai al tempo. Perché del significato tu sei padrone, mentre del tempo, non sei padrone. Al fatto che vivi tu puoi dare un significato: che è il tempo.

 

Seconda affermazione: io credo che l’OD clinico non possa essere fatto da tutti. Lo dico, a costo di sembrare presuntuoso. Occorre un operatore che sia capace di essere simbolico. E cosa vuol dire essere simbolici? Simbolico vuol dire “tenere insieme”. Le bandiere tengono insieme. Quando si sente l'inno nazionale ci si mette la mano sul cuore. Perché l’OD clinico non può essere fatto da tutti? Perché bisogna avere un forte desiderio. Ciò vorrebbe dire che quando il committente, per caso o per destino biografico, incontra il consulente di OD clinico ha come la percezione che quello lì, il consulente, veda, abbia uno sguardo tale che vede lontano. E allora si convince, il committente, che l'attività di sviluppo organizzativo diventa un'attività dell’azienda, così come c'è la produzione, come c’è la finanza, l’HR, come c'è la logistica ottimizzata e l’IT. E c’è anche lo sviluppo organizzativo, che non cessa mai. Perché? Perché l'organizzazione ha bisogno di un'assistenza continua. D’altra parte, anche il computer destina una serie di energie per autocontrollarsi. Tutte le nostre macchine hanno un calcolatore che ti dicono come sta andando. Allora, tornando alla domanda se il tempo è lungo, beh, certo che il tempo è lungo. Ma non si deve immaginare che tu fai 7 giorni su 7 in azienda. Il tutor d’aula c’è sempre, no? Quando finisce l’aula, finisce anche il tutor. Quando finisce l’azienda, finisce anche lo sviluppo organizzativo. Certo che è un lusso! È una visione alta dell'organizzazione. Ci sono tanti livelli di civiltà, c’è quella del ferro, quella del bronzo e così via.

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